
ROMA Lo ha chiesto. Lo ha ottenuto. E ora Silvio Berlusconi è soddisfatto: «Sì, lo sono. Usciamo dalla crisi esattamente come noi avevamo chiesto prima di tutti gli altri: con un governo di alto profilo che unisce il Paese in un momento di emergenza».
Ci sono i tecnici e ci sono i politici: mix equilibrato? «Sinceramente il “dosaggio” fra tecnici e politici non è un gioco appassionante. Il governo è stato costruito dal presidente Draghi che ha ritenuto di indicare ministri a lui graditi al di là delle indicazioni dei partiti. Del resto, è quello che io stesso gli avevo suggerito».
Soddisfatto anche del peso che nel governo ha ciascun partito? Ci sono parecchie riconferme: Di Maio, Franceschini, Speranza... «Draghi ha fatto scelte equilibrate. Il mio giudizio critico sul governo Conte riguardava il suo profilo complessivo, non le singole figure. I ministri riconfermati, del resto, sono fra quelli più rappresentativi delle rispettive forze politiche».
La delegazione di FI è quella che lei aveva indicato? «Ho condiviso le scelte operate dal presidente del Consiglio sulla base delle nostre indicazioni. Sono sicuro della qualità dei ministri di FI, ognuno di loro è parte della nostra storia e ha l’esperienza, la competenza, la passione civile necessarie per svolgere un ottimo lavoro in questa fase. Sottolineo anche con orgoglio che FI esprime la maggiore presenza femminile nel governo. Due su tre dei nostri ministri sono donne».
Però in FI c’è un certo malumore per la scelta di esponenti tutti della Camera, tutti dell’ala più «moderata» del partito. «Non me ne voglia, ma ancora una volta devo rifiutare questa rappresentazione di FI. Non esiste da noi un’ala “moderata” contrapposta ad un’ala “sovranista”. Tutta FI è parte del centrodestra che noi abbiamo fondato e non c’è nessuna differenziazione. Nel centrodestra FI non è subordinata a nessuno, anzi ambisce a tornare a svolgere una funzione trainante, non solo politicamente ma anche sul piano dei numeri. Abbiamo un ruolo ben distinto da quello dei nostri alleati, per cultura, stile politico, valori di riferimento. Siamo liberali, cattolici, europeisti, garantisti. Ci siamo opposti al governo Conte, pur mantenendo un atteggiamento responsabile. Dal primo giorno della crisi abbiamo chiesto una soluzione di unità nazionale come quella che si è realizzata dando vita al governo Draghi, al quale abbiamo assicurato dal principio pieno e convinto sostegno. Sfido a indicare qualcuno fra noi che non abbia condiviso o non si riconosca oggi in qualcuna di queste scelte».
Ma proprio per questo, si aspettava qualche ministro più «pesante»? «Dal principio ho invitato il presidente del Consiglio a tenere conto delle indicazioni dei partiti, ma a scegliere in piena autonomia. Sono lieto che abbia seguito il mio consiglio. Per quanto riguarda i ministeri assegnati a Forza Italia, Sud, Pubblica amministrazione e Regioni sono temi cardine nella più grande scommessa del governo Draghi, l’utilizzo del Recovery fund. Il rapporto con le Regioni, poi, è stato uno dei temi chiave nell’ultimo anno proprio sul fronte della lotta alla pandemia».
Come ha vissuto le stilettate del M5S nei suoi confronti e del suo partito? «Pulsioni infantili e immature, che non meritano attenzione. Non condivido nulla dei Cinque Stelle, come è noto, ma la maggioranza di loro ha messo da parte questi atteggiamenti ed ha imboccato in questo momento la strada della responsabilità. Ovviamente, appena finita questa fase, le nostre strade si divideranno di nuovo».
Si aspetta dal governo un’azione soprattutto sulle emergenze economiche e sanitarie in un tempo limitato e non di legislatura o anche riforme di largo respiro? «Purtroppo temo che fronteggiare le emergenze economiche e sanitarie sia tutt’altro che un programma di breve periodo».
I ministeri delicati come la Giustizia e gli Interni si è scelto di affidarli a tecnici autorevoli: condivide? «Sì, su questioni così delicate ogni scelta partitica avrebbe suscitato maggiori difficoltà. Il presidente Draghi ha scelto due figure di alto profilo che garantiscono un ottimo lavoro».
Lei personalmente che ruolo si ritaglierà rispetto a questo governo, che vi rivede protagonisti dopo 7 anni? «Sarò il più convinto sostenitore del governo Draghi se, come credo, rappresenterà davvero un cambio di passo. La presenza di ministri di Forza Italia è già una garanzia in questo senso».
Non ci sono i leader nel governo, da Salvini a Zingaretti: agevola o indebolisce l’azione del governo? «L’ho detto dal principio: il ruolo dei leader in questo momento è del tutto diverso. Il governo ha bisogno di ministri impegnati a tempo pieno sui loro dossier e non nella guida delle rispettive forze politiche».
Come esce il centrodestra da questo passaggio? Pensa che l’alleanza possa reggere allo scossone, nonostante il no di Giorgia Meloni? È possibile che tra due anni il sistema politico sia disarticolato rispetto ad oggi?«Due anni in politica sono un tempo lunghissimo, quindi non mi avventuro in queste profezie. Posso solo dire che le scelte di Giorgia Meloni non mettono in discussione in alcun modo le ragioni dell’alleanza di centrodestra, che si presenterà unita agli elettori a partire dalle prossime Amministrative».
Nei panni di Draghi, quale sarebbe la prima cosa che farebbe domattina? «Domani (oggi per chi legge, ndr) è domenica: andrei a messa all’alba e pregherei con particolare fervore, perché il compito che ci attende è tale da far tremare le vene ai polsi. Il mio amico Mario avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile, compreso quello del cielo».
E se dovesse dargli un consiglio su come condurre un governo anomalo e quale errore non commettere? «Di non perdersi nelle mediazioni. Mi auguro che tutte le forze politiche siano al governo non per porre ostacoli ma per dare un contributo costruttivo. È però necessario che il premier trovi la sintesi in ogni problema e mandi avanti l’azione di governo. Del resto Draghi ha dimostrato di saper gestire situazioni complesse, in Italia e in Europa. Per questo l’ho sempre sostenuto. Non fallirà neppure stavolta».
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