In virtù di questo spazio virtuale sul quale ho la possibilità di scrivere pensieri e parole e, va da sé, in forza della mia e vostra militanza politica e, soprattutto, partitica, potrei anche compiere una deviazione narrativa parlando del 25 aprile. Sia chiaro: non voglio di certo rimodulare la trama ad una storiografia veritiera sebbene costantemente e selvaggiamente osteggiata da un certo mainstream progressista e politically correct, tutt'altro. Vorrei parlare, più che altro, del 25 aprile rimaneggiando la cronologia, partendo cioè non dal 1945 ma dal 2009. E di quel 25 aprile vorrei ricordare un luogo come tanti ma con qualcosa di speciale, e un uomo che proprio in quella data e proprio in quel luogo pronunciò uno dei discorsi istituzionali, patriottici e politici tra i più belli della storia repubblicana. Perché quel giorno ad Onna, in quella fessura d'Abruzzo, il Presidente Berlusconi - e quanto vorrei non essere forzista per imprimere maggiore autenticità alle mie considerazioni - in quell'occasione, dicevo, riuscì a superarsi, andando ad elaborare una lettura della storia patria di una tale lucidità e di una tale onestà intellettuale che, proprio in quella circostanza, venne assai apprezzata dalla stragrande maggioranza dell'intero Paese. Si, esatto: anche da quella parte che non lo seguiva affatto e spesso, molto spesso, addirittura lo osteggiava tramite forme d'odio prive di mediazioni, senza alcun "se" e senza alcun tipo di "ma". In maniera ideologica, insomma. Ad Onna il Cav ricordò vittime e carnefici, dispensò per entrambi la "pietas" civile che si deve ad ogni sussulto d'umano e il tutto però senza confondere i piani della storia, ovverosia: da un lato chi ha lottato nella ragione e dall'altro chi si è fatto abbagliare dall'errore. Che poi, a dirla tutta, l'errore ha offuscato pure i giusti, vuoi per colpa di una distopia egualitaria ed ingannevole, che faceva proseliti all'interno di un tessuto sociale ormai lacero e vieppiù rancoroso, e vuoi per un eccesso di zelo purificatore che invece di portare giustizia diffuse larghe manciate di vendetta. Ma d'altronde si sa: il vissuto di un Paese è sempre animato dalla pluralità e dalla complessità, ingredienti essenziali, la cui misticanza tuttavia non per forza di cose deve portare ad un piatto condito con del relativismo insipido. Berlusconi, con toni solenni e più affini ad un padre della Patria che ad un semplice leader di corrente, disse quello che, prosaicamente, potrei rielaborare nel seguente modo. Ossia che a forza di menarcela con la politologia faziosa e "à la carte" abbiamo deformato plasticamente perfino la storiografia più aderente alla reale concatenazione degli eventi, come evocato quasi all'inizio di questa riflessione. Dacché poi è bastato un nonnulla per soffocare le molteplici sfumature presenti all'interno della resistenza, condensandole a fatica in un solo colore, in un unico canto e tramutando un ventaglio d'ideali in una singola e malsana ideologia, la quale non è altro che la versione perfetta di un'idea da applicare nel contingente, senza però l'ausilio di un demiurgo capace di smussarla, adattarla e renderla compatibile con i limiti imposti dalla nostra natura. E l'esito di un tale sperimento, ogni qual volta è stato tentato, ha sempre provocato fallimenti. E tragedie. Infinite tragedie. Berlusconi volle sottintendere questo e volle per giunta esplicitare altro. Tipo che furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a "liberare" l'Italia. Le forze partigiane contribuirono in termini di logistica, di informazioni, di basi d'appoggio, di comunicazione, d'accordo, ma il loro ruolo fu importante, non decisivo. E quando parla di "loro" Berlusconi intende proprio loro: socialisti, liberali, azionisti, militari, monarchici, ebrei, apolitici, comunisti. Si, anche i comunisti. Poiché, a differenza degli apicali e dei facinorosi, che auspicavano lo stalinismo anche nel Belpaese - tanto da scatenare una guerra civile ben documentata da, tra gli altri, da Giampaolo Pansa e Giorgio Pisanò, ci sono stati ragazzi, manovali di sezione e romantici di un domani fatto di riscatto popolare che in buona fede sono morti pure per me. E per voi, certo. Come quegli altri giovani che combatterono dalla parte che poi la Storia ha stabilito fosse sbagliata. Cosa sulla quale, ripeto, Berlusconi è stato chiarissimo quel 25 aprile 2009. Ergo, se la verità è selettiva, e porta giustamente alla differenziazione, il rispetto per i morti no, questa ci accomuna tutti. Ed è grazie ad essa che siamo qui ad esultare per l'Italia liberata seppure ancora condizionata, nella sua psicologia comunitaria, dalla vergogna di Piazzale Loreto.
Luca Proietti Scorsoni
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